I Principi d’Acaja, dalla IV crociata alla metropolitana
Pressoché tutti coloro che abitano a Torino hanno almeno in qualche occasione preso la metropolitana, ma raramente ci si interroga sui nomi delle fermate di questa, derivanti per lo più da nomi di vie o edifici di interesse negli immediati paraggi. In realtà la stazione Principi d’Acaja non fa eccezione, in quanto prende il nome dall’omonima via che incrocia corso Francia, ma ad una più attenta riflessione viene da chiedersi come mai a Torino abbia tanta rilevanza da vedersi dedicata una via l’antico Principato d’Acaia.
Per dare una risposta alla questione occorre tornare indietro nel tempo sino ai primi anni del XIII secolo quando la quarta crociata, partita come le altre con l’obiettivo di recuperare la Terra Santa, finì per questioni principalmente politiche con il sostenere un’usurpazione del trono costantinopolitano e quindi, quando il nuovo imperatore rifiutò il pagamento dei servigi che lo avevano portato alla porpora, l’assedio, la conquista ed il feroce saccheggio di quella che al tempo era la città di netto più ricca d’Europa e probabilmente financo la più ricca del mondo. Questo inaspettato avvenimento, seppur vada ricordato che i rapporti tra l’occidente latino e l’oriente greco erano deteriorati nel corso degli ultimi secoli, portò alla repentina caduta dell’Impero Romano ( o Bizantino che dir si voglia) ed alla spartizione dei suoi ricchi territori tra i principi latini che avevano partecipato alla conquista. Tra questi Guglielmo di Champlitte si aggiudicò il dominio sull’Acaia, regione estesa su pressoché tutto il Peloponneso. Da questi il controllo di questo Stato vassallo dell’Impero Latino passò al compagno d’armi Goffredo I di Villehardouin che riuscì definitivamente a sancire il suo legale controllo sul territorio, ottenendo il riconoscimento dei feudatari e del Papa stesso. Sotto il figlio di lui, Goffredo II, il regno conobbe la sua massima prosperità ed era riconosciuto come una delle corti più raffinate d’Europa; tuttavia ben presto ebbe inizio il declino per questo giovane principato che fu gradualmente strappato ai latini per riunirsi ai più vicini Paleologi, che avevano conquistato Costantinopoli e riportato in vita l’Impero Bizantino. In questo ultimo periodo di agonia di questo feudo occidentale nell’oriente greco a causa di questioni dinastiche il regno passò sotto gli Angiò, che quasi fino alla conquista ottomana furono i detentori de iure del titolo di Principi d’Acaia, e per un breve periodo anche un Savoia appartenente ad una casata cadetta, Filippo I di Savoia-Acaia, riuscì grazie ad un matrimonio vantaggioso ad impadronirsi del principato. Gli Angiò, potenti signori di Napoli, non furono affatto contenti di vedersi spogliati di questo prestigioso titolo e lo barattarono con Filippo in cambio del ducato di Alba, facendogli “un’offerta che non si può rifiutare”. Così la breve parentesi savoiarda alla guida del Principato d’Acaia ebbe presto termine, ma il nome Savoia-Acaia restò tale per la casata cadetta, direttamente coinvolta negli affari politici piemontesi e possidente di importanti roccaforti, fino alla sua estinzione nel XV secolo a causa dell’assenza di eredi, quando il ramo principale della famiglia, destinato quattro secoli dopo a riunire sotto di sé il dominio dell’intera Italia, riassorbì tutti i suoi possedimenti.
Così, dunque, si spiega come mai uno stato tanto lontano geograficamente e politicamente dal Piemonte sia entrato nella memoria collettiva del territorio, tanto da meritare una via che lo commemori.
Davide Cuneo