Il santuario della Consolata, una chiesa miracolata
A Torino non si può certo dire che manchino le chiese, ma tra le tante che è possibile visitare in città la chiesa di Santa Maria della Consolazione, comunemente detta santuario della Consolata, è senz’altro la più antica e ricca di storia.
Le sue origini risalgono addirittura al V secolo, quando una piccola chiesa dedicata a Sant’Andrea fu edificata nei pressi delle mura du richiesta del vescovo Massimo I di Torino, utilizzando per lo più materiali di recupero dalla zona circostante. L’ecclesiaste non mancò di dedicare un altare a Maria, cui in seguito l’edificio sarebbe stato dedicato. Questa piccola chiesa di cui restano oggi poche tracce venne affiancata nell’XI secolo dalla torre campanaria visibile ancora oggi (seppur dopo rimaneggiamenti ed ampliamenti), la costruzione non romana più antica all’interno della città tutt’ora visibile; l’edificazione di questo ampliamento fu voluta secondo le fonti dal marchese Adalberto, nonostante la tradizione voglia il Re d’Italia Arduino come primo ad aumentare le dimensioni della struttura, una continuità con i futuri Re d’Italia?
La svolta, tuttavia, per la storia di questo luogo di culto fu il presunto miracolo, citato anche da una targa del 1595 che si rifà a sua volta ad un documento del tempo, che avvenne nei primi anni del XII secolo. Secondo la tradizione l’originaria effigie della Madonna esposta dal vescovo Massimo era andata perduta nei lavori di rifacimento e fu solo grazie ad un cieco proveniente da Briançon, a cui apparve in sogno la Madonna stessa che gli indicò dove cercare, che la preziosa icona fu recuperata. In seguito a questo evento si racconta che il cieco riacquistò la vista, quello che invece è certo è che la chiesa fu restaurata ed elevata al grado di basilica. Fu anche grazie a questo evento che la comunità locale iniziò a sentirsi fortemente legata a questo luogo di culto.
La gloriosa storia di miracoli di questa chiesa doveva, però, ancora riservare una sorpresa. Tra il XII ed il XVIII secolo la chiesa fu dapprima occupata da vari ordini monastici che contribuirono ad accrescerne il prestigio, mentre con l’avvento del barocco dopo la metà del XVII secolo giunse il tempo di due ulteriori restauri monumentali secondo lo stile del tempo che diedero alla chiesa per la prima volta un aspetto simile a quello che si può vedere tutt’ora. I lavori di Guarino Guarini, sotto commissione di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, furono quindi conclusi da Antonio Bertola nel 1703 poco prima del celebre assedio di Torino. Nel 1706 infatti i francesi, scesi in campo contro le forze alleatesi attorno agli Asburgo durante la guerra di successione spagnola, posero sotto assedio Torino bombardando con la loro artiglieria d’avanguardia la città. Furono giorni di grande difficoltà per la popolazione come testimoniato dagli ex voto, ed ai cannoneggiamenti non sfuggì nemmeno il recentemente restaurato santuario: fortunatamente i danni furono minimi e tutt’ora è visibile un proiettile incastonato in una muratura rimasto inesploso, secondo alcuni per miracolo, proprio durante questo assalto. In seguito la città venne salvata dal celeberrimo condottiero Eugenio di Savoia, il più abile dei generali asburgici, mandato in Piemonte per portare aiuto agli alleati.
Dopo questo periodo difficile e la vittoria nella guerra di successione spagnola che garantì ai Savoia finalmente il rango di re, venne commissionato un ulteriore rifacimento della struttura, lievemente danneggiata dalla guerra, a Filippo Juvarra, il cui splendido altare realizzato all’interno della struttura è tutt’ora una delle maggiori attrazioni della stessa. Dopo le traversie dell’era napoleonica, che addirittura vide l’edificio temporaneamente riconvertito in caserma, e l’apposizione della colonna esterna per commemorare le vittime dell’epidemia di colera del 1835, un ultimo parziale rifacimento fu realizzato a cavallo tra il XIX ed il XX secolo da Carlo Ceppi che modificò l’accesso principale ponendolo a sud e rimaneggiò altri particolari della struttura interna, dandole l’aspetto che tutt’ora è possibile ammirare.
Davide Cuneo